Carmen Sacchetti

“UN’ALTRA CASA NEL MONDO”

“Pero es sorda?”- chiede Gerardo a Guillermo, dopo che per l’ennesima volta l’ho pregato di ripetere quello che mi aveva appena detto. “No, no es sorda, es italiana!”

Già, capita anche questo se hai deciso di partire per la Spagna, con il Servizio Volontario Europeo, e ti sei trovata a convivere in una residenza che ospita persone con varie disabilità. Gerardo per esempio ha la sindrome di down, ma ai sui occhi in questo momento appaio certamente io quella che ha bisogno di una mano.

Sono passati quasi quattro anni ormai, ma certe sensazioni le porterò per sempre con me.

L’arrivo a Madrid e il sentire che tutte le incertezze svanivano, incantata dall’architettura dell’aeroporto.

Una volta nella residenza, sono stata circondata da un gruppo in camice bianco, gente che mi abbracciava, mi baciava, e io lì in mezzo senza sapere che fare, chiedendomi perché mi fossi cacciata in quella situazione.

Ma poi quando, dopo una breve presentazione, i “chicos” hanno accolto me e l’altra volontaria con un applauso, beh, mi è scesa la lacrimuccia e ho pensato che non fosse così male.

L’arrivo in un altro paese ti consente di rinascere, tutto è una scoperta. Sapevo di avere sei mesi davanti a me per conoscere questo nuovo mondo e tutto ciò mi dava una sensazione di euforia.

Ricordo quando durante il mio primo giorno libero sono andata a visitare il centro della città: un senso di meraviglia assoluto, poi quella strana illusione ottica che faceva sembrare che alla fine della strada iniziasse il mare. Sapevo benissimo che a Madrid non c’è, però lo stesso ho allungato il passo per correre verso il mio miraggio.

I primi giorni per dire una frase intera in spagnolo ci mettevo un po’ di tempo, me ne rendevo conto dal fatto che i miei interlocutori dopo qualche minuto si defilavano. Allora passavo i pomeriggi al parco, davanti al lago, ad imparare le coniugazioni dei verbi. Solo quando non si conoscono si capisce l’importanza dei verbi coniugati.

Il Servizio Volontario Europeo mi ha cambiata. E’ difficile riassumere quello che ho ricevuto con questa esperienza. Aver condiviso quei mesi con altri ragazzi che arrivavano dalla Lituania, Portogallo, Germania, Finlandia, Ungheria… mi ha permesso di pensarmi in un’altra prospettiva. Adesso io mi sento europea prima che italiana.

Vedere la faccia incredula della volontaria tedesca quando le dicevo: “Ma sai che Madrid è una città ordinatissima, a Napoli c’è molto più caos!”, oppure sentire la volontaria olandese, mentre tra italiani e spagnoli si parlava del dovere di visitare i genitori per il pranzo domenicale, ribattere sdegnata: “Nooo, non si può, vado a disturbarli la domenica???”, mi ha permesso di immaginarmi tra le immacolate strade teutoniche oppure tra gli indipendenti giovani di Amsterdam. Sono stata in Spagna ma è come se avessi conosciuto i paesi di mezza Europa, ora so che in Lituania non ci sono montagne e che Sarkozy è considerato il nuovo imperatore di Francia.

La vita nella residenza era dura e magica allo stesso tempo. La mia stanza era attigua alla sala comune dove i pazienti facevano colazione. Una decina di voci all’unisono che gridavano, piangevano, ridevano è stata la mia sveglia quotidiana. E la cosa divertente era che la ragazza muta faceva più chiasso di tutti. Già, un’altra cosa che mi ha lasciato il Servizio Volontario Europeo è la capacità di sdrammatizzare la disabilità. Dietro ci possono essere dei problemi di salute, a volte non ci rendiamo conto che persone che noi consideriamo semplicemente un po’ fuori di testa debbano essere curate, ma a parte questo la vita nella residenza era felice: facevamo la gara di velocità con le sedie a rotelle, quando qualcuno chiedeva: “Chi ha visto il telecomando?” la ragazza non vedente diceva tranquillamente :”Io no!”. Facevamo quatto chiacchere con Carlos, il fratello immaginario di una ragazza con la sindrome di down – e tra parentesi questo fratello aveva un marito, la Spagna è o no il paese delle libertà civili?

Un giorno i chicos mi chiesero come mai quel giorno non stessi scioperando come gli altri operatori sociali, io spiegai che stavo lì non perché quello fosse il mio lavoro ma semplicemente perché ero contenta di stare con loro. Il calore dell’abbraccio che seguì lo ricordo ancora oggi.

Quando si stava avvicinando il giorno della partenza, Wilson ebbe un’idea geniale per non farmi andare via: “Ti rompo una gamba, così rimani qui alla residenza!” D’altronde anche lui aveva una gamba sola!

Tanti giorni a girare in metro, a piedi, in autobus, ma non ero una turista, ero parte attiva della città. Ancora oggi per me è naturale quando cerco lavoro mettere anche Madrid tra le mete possibili. E poi cercare negli altri paesi europei.

Questo mi ha dato il Servizio Volontario Europeo: l’Europa non è più estero…è semplicemente il mio paese.

 

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione di terze parti. Cliccando in un punto qualsiasi dello schermo, effettuando un’azione di scroll o chiudendo questo banner, invece, presti il consenso all’uso di tutti i cookie. Informativa estesa sui cookie. | OK